alberi

photo@Federica Galetto

 

Le cose rimasero ferme e silenziose. Il vento aveva soffiato forte tutta la notte e fuori, da quel suo cerchio immobile, tutto era scompiglio e freddo e spostamento di ali, erba, pioggia e polvere. Lei aveva una grande considerazione del vento ma non lo sopportava troppo a lungo. Il sibilo, entrato dalle fessure delle finestre, aveva inondato la sua camera e le imposte non erano state capaci di trattenerlo abbastanza a lungo da afferrarlo; ma l’eco del suo soffiare le alitava sul viso. Si nascose sotto le coperte scaldandosi le guance divenute improvvisamente  gelate. Ricordò che solo il giorno prima il sole batteva forte sui vetri e l’aria era chiara, gentile, affabile, accomodante. Aveva fatto una corsa in macchina per le campagne e aveva visto gli alberi con quei loro lunghi rami ancora spogli, protesi verso il cielo, che tagliavano l’aria in mille spicchi azzurri. Quiete tutto intorno; e non erano i morti del cimitero a deciderne l’intensità, perchè essi erano là come dormienti ad assistere, guardiani inconsapevoli del miracolo della vita. Al suo ritorno, decise di tagliare i rami secchi delle ortensie e piantare delle viole.

Rimestò la terra nei vasi, raccolse una nube di primavera in un vecchio barattolo di vetro.

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